lunedì 29 giugno 2015

Catfish, la Buona Novella

Quando guardo Catfish mi commuovo sempre perché non ho mai capito come attualizzare l'indicazione, che il Signore ci ha dato, di perdonare.
Io non ci riesco.
Proprio non so da dove partire.
Invece Nev, un ragazzo americano (di origini ebraiche, ma non so se questo c'entri), dopo essere stato preso crudelmente per i fondelli via internet da una donna che, dando un'identità falsa, gli ha fatto credere di voler costruire un futuro con lui, è riuscito a guardare in faccia colei che gli aveva fatto del male e a costruire un rapporto nuovo con lei, basato, stavolta, sulla verità.
Questo è lo schema che ripropone in tutti gli episodi del programma tv (è un reality): c'è una storia bellissima, esclusivamente digitale o telefonica, tra due persone; c'è una delle due che non è del tutto convinta della sincerità dell'altra. Qui interviene Nev che chiede ai due protagonisti di incontrarsi di persona e così il bugiardo viene smascherato. A questo punto c'è la crisi grossa: l'offeso si chiude in se stesso, il fedifrago, smascherato, attacca per difendersi e questo rende la vittima ancora più furiosa.
Ecco, qui per me finirebbe la storia, qui, nella mia esperienza, la storia è sempre finita.

Invece, Nev propone ai due di incontrarsi di nuovo il giorno dopo, quando la situazione si sarà calmata e propone all'offeso di provare ad ascoltare quello che l'altro ha da dire su ciò che l'ha spinto a compiere un'azione tanto meschina.
Da lì è tutta una scoperta e, quasi sempre, chi è stato ingannato riesce (quasi naturalmente) a vedere la fragilità ed il dolore dell'altro. Riesce a vedere che la colpa dell'altro (che nel frattempo ha abbandonato l'arroganza ed ha perfino iniziato a chiedere perdono) non è così totale, ma mitigata, giustificata quasi, da problemi, sofferenze, situazioni di vita molto tristi, solitudine.
Così, a volte i due riprendono le rispettive vite separati, ma riconciliati, altre volte nasce un'amicizia.
Ecco, il perdono è possibile.

sabato 27 giugno 2015

Ieri ho rivisto Andrea

Nell’inverno di dieci anni fa una donna ed un uomo camminano nel centro di Bologna, per stradine incredibilmente romantiche, imbiancate dalla neve, intorno il silenzio, forte la sensazione di essere altrove, non nella realtà, ma in qualche posto dentro l’anima di entrambi.
Lei piange poco e parla con voce sommessa a lui che, pieno di stupore, può solo ascoltarla.
Lei, negando le proprie lacrime, come qualcosa di ovvio, così ovvio che neanche vale la pena di nominarlo, gli dice tutte le poesie che possono comunicare lei a lui.

Ha deciso, sconsideratamente, come sempre, di andare fino in fondo al dono di sé che voleva fargli, e mente sul proprio dolore: ora vuole solo che avvenga quel momento di amore che aspettava, che aveva creduto possibile un istante prima che lui le raccontasse che si è innamorato di un’altra Alessandra.

venerdì 26 giugno 2015

Post dal timbro fortemente onirico (in senso negativo).

Dormo poco. Pochissimo. Quasi sempre.
Ma stanotte, proprio niente.
Disperazione. Ascolto come batte il cuore. 
Batte male. Morirò per la mancanza di sonno?
Alle tredici, con il cervello imbottito di voglia di dormire, dopo aver aiutato A. nei compiti vado al McDonald’s per un panino al salmone, quello di cui vedo spesso passare la pubblicità in TV in questi giorni.
La commessa mi assicura che non esiste alcun panino al salmone, non lì da loro.
Me ne vado, e mentre pedalo penso che la mia vita è orribile: un orribile incubo in cui non c’è giustizia, né rispetto e delicatezza e nemmeno un po’ di correttezza e lealtà. E l’unica cosa che posso fare è amare un pochino. Cercare di amare il più possibile, che, come risultato, per me si traduce nell’amare un pochino. E questo amore è la sostanza di cui sono fatti i pochi momenti buoni vissuti questa settimana. Ma per me, niente.  Posso solo cercare di dare, dare dare, per avere indietro qualcosina, ma nulla per me.
Perché penso questo? Cosa mi è successo? Credetemi, qualche motivo ce l’ho.
Un’avvocato che avrebbe dovuto patrocinare i miei amici e che invece si è comportata in maniera vergognosa. Un venditore di auto che mi ha fatto andare fino a Milano per vedere un’auto in vendita nel suo capannone e poi (dopo un viaggio piuttosto costoso), non sapeva dirmi niente del funzionamento della vettura. Il mio medico, un pomposo sbruffone sessantacinquenne che trova sempre molto buffi me e i miei malanni, arriva mezz’ora (almeno) più tardi rispetto all’orario dichiarato e chiacchiera, tutto tronfio, di cose di cui non mi interessa e neanche capisco bene il senso (qualcosa, comunque, di molto ironico nei confronti della categoria dei pazienti). L’anno lavorativo appena concluso fitto di umiliazioni, ma soprattutto, di delusioni. Delusioni, tutti mi deludono. Nel migliore dei casi approssimativi e cialtroni, oppure egoisti ed ottusi, quando non deliberatamente cattivi (di questi non so se ne ho incontrati).
Niente per me.
Mentre, nella mia mente ottenebrata dal sonno, si fa largo qualche timida obiezione a questa spaventosa visione della realtà (ad esempio: cosa intendo con “qualcosa per me”? Un sogno d’amore da romanzetto rosa? Se no, che cosa di reale? Sinceramente non so rispondere a questa domanda), mi vengono in mente tutte le cose “per me” che mi sono state donate questa settimana:
Mia madre ci ha offerto il pranzo al Caffè Concerto (gesto d’amore da mamma: lei non c’era nemmeno) e siamo stati molto bene;
S. con cui ieri ho chiacchierato per ore a ruota libera, rilassandomi tantissimo;
C. mi ha preparato e regalato dei bastoncini da mettere nei vasi per tenere lontani i piccioni;
Quel medico pomposo e fastidioso, però, mi ha detto di me cose che alle mie orecchie suonano come una musica meravigliosa: “le sue analisi vanno bene” e “lei è solo leggermente sovrappeso” (calcando la voce sull'avverbio);
N. che mi ha garantito di voler esserci per me (va bene, se ha sbagliato in passato, cosa vogliamo fare? Non credergli mai più?).

E così ho dovuto chiedermi se, davvero, posso dire che non c’è niente per me o se, ancora una volta, in quest’assurda, vertiginosa, incoerente e terribilmente precaria realtà in cui siamo stati proiettati nostro malgrado, non sia tutta una questione di sguardo.

martedì 16 giugno 2015

Il santo del giorno

MARTEDI 16 GIUGNO 2015 - SANT'AURELIANO di ARLES
Aureliano di Arles (523 o 499 – Lione, 16 giugno 551) è stato un vescovo franco.

Sant'Aureliano di Arles, chiedi a Gesù di mettere un barlume di coscienza nei nostri cugini francesi, tuoi conterranei. Almeno quel tanto da capire che facciamo tutti parte dell'Europa, non solo quando si tratta di avere vantaggi (economici, ovvio), ma anche quando si debbono risolvere dei problemi. Se non fosse la coscienza, ma la lealtà, a mancare, fa lo stesso: chiedi ugualmente a Gesù di provvedere. Amen

Sic transit gloria mundi

Quando ero giovane c’era una canzone, di Raf, credo, e si intitolava: “Cosa resterà”.
Lunedì della settimana scorsa, dopo aver accompagnato Ch. a scuola, mi sono fermata al discount per fare la spesa (la prima giornata di disoccupazione richiede di avere a disposizione generi che permettano di confortarsi un po’ – e infatti mi sono dimenticata gli articoli che mi ero segnata sul biglietto, cipolla e prezzemolo, ed ho invece comprato: tortellini, pomodori secchi, noci e pinoli sgusciati, pancetta affumicata, tè freddo-).
Uscita dal discount ho incontrato M., il fratello maggiore di un anno, di una mia vecchia amica e coetanea.
Ex bello e maledetto, sciupafemmine e spericolato, l'altro giorno stava andando ad un corso per riqualificarsi lavorativamente, lui che si è trovato invalido dopo un incidente di moto.
Tutti si disperano quando compiono quarant’anni, ma senza rendersi conto che siamo sempre noi, riconoscibili, corrispondenti più o meno all’immagine che conosciamo di noi stessi; avvicinandosi ai cinquanta ci si rende conto che quella dei quaranta era una paura tutta psicologica. Il volto di quella paura, arrivato una decina d’anni dopo (secondo la nostra percezione del passare del tempo solo due o tre anni dopo!) lo vediamo ora quando dallo specchio ci scruta, spaventato, un anziano sconosciuto che diventa repellente nel momento in cui realizziamo che sta accampando la pretesa di portare la nostra faccia.
E così, in M. ho potuto leggere la stessa devastazione che mi colpisce: gli occhi sottolineati da evidenti borse, il loro colore diventato vago così come l’intensità dello sguardo che si è persa in una genericità acquosa. Il viso stranamente gonfio, un gonfiore in cui si faticano a ritrovare i lineamenti conosciuti. Anche i capelli non hanno più un colore riconoscibile e ricadono inerti, un po’ a casaccio, attorno al viso.
E mi ricordo di quando, quasi una ventina d’anni fa, ci aveva provato con me ed io, stupida e convinta di non valere niente, ma di poter acquistare valore solo per lo sguardo di un uomo (e mai mi sfiorò la considerazione dell’opportunità di scoprire che uomo ci fosse dietro quello sguardo), passai diverse settimane a bearmi di quel (peraltro molto volgare) tentativo di approccio.
La mia amica S. commentò dicendo: “Avrà voluto fare lo stupido”, sottintendendo che di certo lui desiderava ragazze di livello estetico molto superiore al mio. E invece io non ho dubbi: per un periodo M., il bello maledetto, il bello e impossibile, mi ha desiderato un po’ e quella volta, ci ha provato con me.

Come vorrei poter mostrare alle ragazze di oggi la loro foto di quando arriveranno ai cinquanta ed aiutarle così a chiedersi e a decidere già da subito cosa vogliono fare della loro vita e cioè di quei pochissimi giorni che le separano dal non avere più ciò che loro ora credono eterno: gioventù, freschezza, desiderio sessuale, possibilità di procreare.

lunedì 15 giugno 2015

La pagliuzza e la trave

Ieri sera ho trovato questa foto su fb, e mi sono detta: giusto! Condivido! Poi, stamattina, mi si è insinuato nella mente lo spiacevole ricordo di me che ieri, dopo pranzo, mentre si chiacchierava, ho passato mezz'ora a giocherellare col mio cellulare. 

Della generosità, ovvero Sul salto generazionale, or My Bloody Monday

Mia nonna ha donato il sangue per quarant'anni ed ha sempre rifiutato la colazione offerta dall'Avis dopo ogni donazione.
Io, quando vado a donare il sangue, riesco ad alzarmi e raggiungere la meta solo per il miraggio del morbido cappuccino accompagnato da un pezzo di fragrante gnocco al forno ripieno di delizioso prosciutto crudo. Il tutto gratis!

sabato 13 giugno 2015

O Sant'Antonio

Ieri era sant'Antonio di Padova. Ecco la mia preghiera:
Sant'Antonio "immigrato" a Padova dal Portogallo, venuto da fuori come le persone che ora bivaccano alla stazione di Padova, lasciate lì da un Governo irresponsabile; tu che hai aiutato in vita tante persone colpite dall'ingiustizia e dall'arbitrio dei potenti, proteggici perché quelli incaricati di farlo (Italiani ed Europei) ci hanno abbandonato, ed ora l'Italia è diventata un grande barcone disancorato e alla deriva.

giovedì 4 giugno 2015

Figlio mio

Ho sbagliato tutto?
Forse no. Ho fatto quello che mi suggeriva il cuore. E non posso certo dire di non essermi assunta le mie responsabilità.
Il problema è che adesso Ch. ed E. vogliono stare sempre a casa mia e non a casa loro.
Siccome negli ultimi giorni ho deciso che, per insufficiente energia, tengo solo Ch. e non E., E. si è messo a mordere i bambini all'asilo e picchia la mamma intimandola di portarlo da me.
Così abbiamo deciso, la mamma ed io, di far stare con me i bambini a turno: un giorno uno, un giorno l'altro.
Oggi era il turno di Ch.
Lo prelevo da scuola e andiamo alla scuola di E. per annunciargli l'iniziativa dei turni.
Mentre aspettiamo che arrivi la loro mamma, che deve prendere E. e portarselo a casa, Ch. mi chiede:
- E' qui dentro la mamma di E.?
Ed io, stupita:
- Ma come la mamma di E.? E' anche la tua mamma!
E lui:
- No, non è la mia mamma.
Ed io, abboccando come una cernia affamata:
- E chi è la tua mamma, allora?
- Sei tu.
Ho paura che l'iniziativa dei turni naufragherà, e che E. starà sempre con la sua mamma.
E Ch. con me.